Gastone Cecconello
Note biografiche
a cura di Alice Actis
“In fondo la mia vita è sempre stato un
tentativo di tenere i piedi per terra ma i miei
occhi sono sempre stati rivolti verso il
firmamento”.
Gastone Cecconello
Gastone Secondo Cecconello nasce il 2 marzo 1942 a Vercelli. Suo padre, Pasquale, era un uomo solare, faceva il manovale e aveva molta inventiva e manualità. Viste le ristrettezze economiche, era capace di adattarsi a fare un po’ di tutto: realizzava lui stesso i vestiti dei figli, tagliava loro i capelli, aggiustava scarpe, si costruiva oggetti e mobili, allevava polli, oche, conigli e maiali. La madre, Salute Tasso, detta Maria, era una donna dal fisico robusto e dal forte senso pratico, che si arrangiava come poteva, accudendo la famiglia e facendo i più disparati lavori, anche durante le numerose gravidanze. Pasquale e Maria, di origine veneta, si erano trasferiti a Vercelli, con una bicicletta e un carretto nel 1927, quando Maria era all’ottavo mese di gravidanza del loro primo figlio. In quel periodo il Veneto era una regione povera e la mancanza di lavoro aveva spinto molti a cercar fortuna in Lombardia o in Piemonte, dove le condizioni economiche erano più prospere e dove le industrie si stavano sviluppando. A Vercelli l’azienda di fibre sintetiche Chatillon stava incrementando la produzione e richiedeva molti operai. È lì che avrebbe trovato lavoro Pasquale.
Gastone era il quinto di sei figli: Gastone, Lia, Carla, Giulio, Gastone Secondo, Loredana. Due anni prima della nascita di Gastone Secondo l’equilibrio famigliare si sarebbe spezzato a causa della morte improvvisa del fratello più grande, Gastone, che all’età di quattordici anni veniva investito dall’auto di un imprenditore. Dal dolore la madre era caduta in una pesante depressione e, nonostante i ripetuti tentativi di guarigione (che non hanno escluso elettroshock e ipnosi), Maria avrebbe ritrovato la forza e l’equilibrio interiore solo dopo la nascita del suo penultimo figlio, a cui avrebbe dato lo stesso nome del primogenito scomparso.
I primi anni di vita del piccolo Gastone Secondo sono coincisi con quelli bellici, di cui ricorda soprattutto quel senso di fame atavica che quotidianamente prendeva lui e i suoi fratelli che cercavano di placare sottraendo di nascosto la frutta agli alberi dei vicini. Le ristrettezze economiche della famiglia mettevano a dura prova l’esistenza quotidiana e lasciavano in tutti un pesante senso di frustrazione: “Un pomeriggio assolato all’Oratorio Sacro Cuore sono solo mangiando bacche di carrube su una giostra che gira in continuazione, non avendo le dieci lire per entrare al cinema dei preti, e mi sento triste e annoiato. Questa sensazione mi ha segnato per tutta la vita e per sfuggirla mi sono sempre inventato un’infinità di pensieri e di lavori”[1].
A fomentare questo stato di disagio nel 1947 sarebbe arrivato anche il grave incidente che lo vedeva travolto da un’auto in corsa proprio nel medesimo luogo in cui il fratello, sette anni prima, aveva perso la vita. Fortunatamente Gastone aveva riportato solo fratture, ma la loro gravità lo avrebbero costretto in ospedale per più di otto mesi: “Sono stati gli otto mesi più tristi della mia vita”, annoterà qualche anno dopo.
Bloccato a letto con le costole rotte, la gamba destra ingessata e una commozione celebrare, il bimbo si distraeva solo con il disegno. Con qualche pastello consumato si applicava sulle carte del formaggio e dello zucchero che il nonno Angelo gli procurava. Con nonno Angelo Gastone aveva un ottimo rapporto, era la persona con cui parlava di più e che maggiormente incarnava le origini venete della sua famiglia, a proposito delle quali spesso raccontava divertenti aneddoti. Con molta tristezza lo avrebbe salutato per l’ultima volta, quando, alla veneranda età di 96 anni fu stroncato da un cancro alla gola.
Quell’incidente, avvenuto per fatalità nello stesso luogo dove era morto il fratello, lo aveva provato fisicamente e psicologicamente e gli aveva fatto venire l’ossessione della morte. Per molto tempo la paura di non poter superare i quattordici anni lo avrebbe accompagnato e logorato: “Vissi in uno stato di profonda costernazione convinto che non avrei superato gli anni che visse mio fratello. Ero terrorizzato ogni volta che dovevo attraversare la strada e soffrivo di attacchi di epilessia e stati di depressione. Trovavo serenità rifugiandomi nel mondo parallelo che mi stavo costruendo: la pittura. Compiuti i 14 anni tutto svanì e tornai a una vita serena”.
Era costretto a deambulare con l’aiuto delle stampelle perché la gamba destra aveva subìto un gravissimo danno che lo costringeva a frequentare tutte le settimane i corsi di ginnastica correttiva, che avrebbe praticato per più di un anno con il sostegno del cognato Oronzo. L’incidente e le inclinazioni naturali rendevano Gastone un bambino particolare, tanto che in famiglia, rispolverando le origini venete, lo avevano soprannominato “el mato”: “Non sono mai stato un bambino tranquillo come i miei coetanei, ero sempre alla ricerca di qualcosa. A casa non mi chiamavano per nome ma mi chiamavano el matoper il mio comportamento anomalo. Quando non disegnavo mi recavo nel boschetto vicino casa e con le frasche e i rami costruivo capanne dove mi isolavo dal mondo, intagliavo bastoni e inventavo ogni sorta di manufatti”.
All’età di quattordici anni, dopo aver raggiunto un buono stato di salute grazie alla ginnastica correttiva, si appassiona alla ginnastica artistica e entra a far parte della squadra maschile della Pro Vercelli, partecipando, con quest’ultima, anche ai campionati nazionali di Napoli del 1958: “Due passioni mi perseguitavano: la pittura e la ginnastica artistica. Dovetti scegliere”.
In ogni caso, la ginnastica artistica non lo ha mai tenuto lontano dalla pittura e dal disegno, che praticava costantemente anche durante le ore scolastiche. In quarta elementare era stato sorpreso dal maestro Aquilini mentre disegnava una donna nuda per un amico e per punizione lo aveva rimandato proprio nella materia in cui eccelleva: il disegno.
Gastone frequentava le Scuole Elementari Statali Walter Manzone e fino a dieci anni gli studi furono sempre stati regolari, anche nel periodo che trascorse in ospedale, grazie alle lezioni che gli venivano impartite privatamente. La licenza media, invece, l’avrebbe conseguita molto più tardi, all’età di 28 anni.
Nel 1952, viste le sue capacità artistiche eccellenti, il preside Zabrino gli aveva dato l’incarico di eseguire cinque grandi tavole che illustrassero l’apparato respiratorio, quello digerente e quello vascolare, che avrebbe poi esposto nei corridoi della scuola: “Per l’occasione mi vennero forniti cinque cartoni bianchi e una scatola nuova fiammante di pastelli: mentre li realizzavo, tutti i miei compagni di classe, compresi i professori, si stringevano a me incuriositi e sorpresi; dopo circa mezz’ora il preside mi chiese: «Cosa vorresti fare da grande?», io gli risposi senza esitazione: «Il macellaio!»”.
Nel 1956 si trasferisce insieme alla famiglia in via Carluccio Gallardi, nel centro della città, dove nella soffitta si era ricavato due stanzette indipendenti dall’abitazione per adibirle a studio. Qui poteva coltivare la sua passione per la pittura, che si faceva sempre più pressante. Tuttavia la condizione economica della famiglia lo costrinse presto a cercarsi un’occupazione e, dopo aver provato diversi mestieri, scelse quello che gli lasciava il tempo di dipingere: il panettiere. Lavorando la notte, di giorno poteva chiudersi nello studio e lottare con quella che sarebbe diventata la capricciosa compagna di tutta la vita: “Dopo diversi lavori, saldatore, imbianchino, muratore, scelsi di fare il panettiere perché lavorando da mezzanotte a mezzogiorno potevo essere libero nel pomeriggio per fare il pittore”.
A soli dodici anni dipinge un significativo ritratto della mamma Maria e comincia a stringere amicizia con altri pittori locali, con i quali di tanto in tanto si recava a dipingere en plein air. Uno di questi era Laerte Bertotti, di tredici anni più vecchio di lui, e l’altro era il professor GiuseppeRaviglione, che in quegli anni stava lavorando alla realizzazione dei cartelloni pubblicitari per la Cinzano.
I rapporti con gli altri artisti non mancavano, dunque, e gli permettevano di confrontarsi con chi quell’arte la padroneggiava da tempo, ma anche di prendere maggiore coscienza delle proprie capacità. Ciò che lo distingueva era il suo modo di lavorare, veloce e spontaneo, e questa cosa, quando lavorava all’aria aperta, attraeva sempre un nugolo di persone.
Già a quel tempo Cecconello andava di continuo alla ricerca di materiali nuovi: dal gesso alle bacche di sambuco, dalla carbonella alla fuliggine, ogni tipo di materia esercitava su di lui un fascino irresistibile. Ma più di tutti cercava forsennatamente i mattoni, per poterli frantumare, stemperare con l’acqua e usarli come colori. Quando le risorse glielo consentivano, non esitava a comperare qualche tubetto di colore ad olio: “Nei tre mesi estivi di pausa scolastica, dalle otto del mattino alle diciassette andavo ad aiutare il signor Michele un venditore ambulante di dolciumi che metteva il suo banco nella Piazza dei Pesci di Vercelli, e con le prime mance che ricevetti andai dal signor Leone e comprai tre tubetti di colore ad olio: ero emozionatissimo in quel negozio pieno di meraviglie e di profumi di olio di lino, acquaragia e trementina”.
Lo studio di Cecconello in via Gallardi, nel cuore di Vercelli, a pochi passi dal Duomo, sarebbe diventato più tardi un vero e proprio circolo culturale aperto agli artisti, ai letterati e ai musicisti tra i quali Angelo Gilardino, Renzo Averone, Adriano Nosengo: “Il mio studio diventò una vera e propria università che io stesso mi ero creato tra le mura di casa”.
Angelo Gilardino, chitarra classico e compositore a livello internazionale, ai tempi era il suo vicino di casa. Spesso si trovavano nello studio di via Gallardi e capitava che senza dialogare passavano insieme serate intere, l’uno a suonare e l’altro a dipingere. “Andavo lì ogni sera a suonare – ricorda Gilardino – esercitandomi mentre lui lavorava. Tiravamo le ore piccole spesso senza dire una parola, presi come due ossessi dall’ansia di crescere e di far bene, isolati in una città che […] della pittura e della musica se ne infischiava. I rispettivi trambusti ci tenevano reciprocamente svegli. […] lì, fui introdotto dal mio amico alla pittura moderna, da Cézanne a Jackson Pollock […] e io gli feci conoscere la musica del Novecento, da Debussy a Boulez e, come potevo, anche un po’ di poesia moderna”[2]Gastone apprezzava tanti aspetti di Gilardino, soprattutto quello di essere un musicista autodidatta e di sapere parlare e scrivere correttamente cinque lingue: “La persona che più segnò la mia formazione umana ed artistica fu Angelo Gilardino, per me fu una vera università e nacque una profonda amicizia che dopo mezzo secolo è tuttora viva”.
Mario Pistono lo aveva conosciuto all’età di diciassette anni, i due avevano più di dieci anni di differenza. Mario faceva già il maestro di pittura. Era tra gli organizzatori della Mostra Internazionale di Pittura di Santhià, figurava come presidente della Pro Loco e pienamente introdotto nell’ambiente culturale vercellese. Tra loro sarebbe nata una bella e duratura amicizia.
Cecconello e Corgnati si erano invece conosciuti nel 1984, quando il regista lo aveva invitato a cena nella sua casa di Maglione per gustare uno dei suoi piatti di battaglia: il risotto alla francescana: Così in quegli anni Corgnati descrive l’amico Gastone: “La fronte ampia, gli occhi scuri, acuti, che guardano dritto, sensate e parche le parole della sua bocca ma festosa questa di un riso sincero e franco; corporatura massiccia e elastica: ecco Gastone Cecconello. Un uomo tranquillo, chi abbia potuto vedere quel celebre film di John Ford. Questo sia pur vero; ma dietro quegli occhi calmi brucia un fuoco furioso. Perché in realtà Cecconello è un vulcano in piena attività”[3]. E come dargli torto?
L’attrazione nei confronti delle arti visive lo coinvolgeva particolarmente, tanto da non rinunciare, nonostante i pochi mezzi a disposizione, alla visita sempre più assidua di mostre e musei, tra cui è importante menzionare la sua prima visita al Museo Egizio di Torino nel 1958: “Ero alla stazione ferroviaria che aspettavo il treno per andare a visitare il Museo Egizio, ricevetti una sensazione potente”.
Nel 1961 visitava la Collezione Thompson in mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, durante la quale per la prima volta prendeva visione dell’opera di Picasso, che inizialmente lo lascia indifferente. Solo dopo averne studiato attentamente le opere ne avrebbe finalmente capito la grandezza artistica. L’influenza picassiana lo porterà più avanti ad abbandonare i suoi vecchi modelli artistici tra i quali includeva i grandi artisti rinascimentali della levatura di Antonello da Messina, Mantegna e Raffaello, per intraprendere una strada del tutto nuova e raccontare meglio il proprio tempo: “L’artista è come un sismografo, deve registrare le scosse del suo tempo” amava ripetere.
Il primo a notare il talento artistico di Gastone fu il Professor Enzo Gazzone, allora direttore dell’Istituto di Belle Arti di Vercelli, che, dopo averlo osservato per circa mezz’ora mentre dipingeva sul cavalletto una veduta di via Duomo, lo invitava a iscriversi ai corsi dell’Istituto, offrendosi di pagare lui stesso le spese. Ma la sua frequentazione alle lezioni del primo anno fu sporadica e durò appena due mesi. I programmi e le esercitazioni del primo anno comprendevano cose che Cecconello aveva ormai acquisito per proprio conto e quelle lezioni erano per lui una perdita di tempo. Per questo motivo venne spostato direttamente in terza e, per invogliarlo a frequentare, il direttore gli aveva anche consegnato le chiavi per recarsi a dipingere ogni volta che voleva.
In quei pomeriggi, nel silenzio profondo di quelle aule ricche di storia e di arte, avvolto dall’odore dei colori e della trementina, Cecconello si divertiva a scoprire i gessi (avvolti in polverosi teli bianchi, che li rendevano tutti uguali, come fantasmi) per copiarli a carboncino. Era emozionante confrontarsi con quelle forme, trascriverle e farle rivivere sul foglio o sulla tela, dialogare con il passato e tradurlo nel presente. Purtroppo, però, proprio alla vigilia dell’esame per il diploma, Gastone decide di lasciare definitivamente la scuola. Il mancato conseguimento del diploma, però, nel tempo sarebbe stato un motivo di cruccio. Quasi tutti i suoi compagni di corso avevano proseguito gli studi accademici, chi a Brera, chi all’Albertina, e per supplire a questa carenza formativa Cecconello avrebbe dato il via a un inquieto e forsennato lavoro di ricerca.
Talvolta il lavoro di pittore gli dava anche qualche soddisfazione economica. La prima vendita è del 1955, al tabaccaio del rione Canadà. Si trattava di una piccola copia dipinta a olio di un ritratto di Modigliani che gli fruttò 3.000 lire. La seconda riguardava un vaso di fiori, che un’amica della madre avrebbe acquistato per 5.000 lire proprio sotto gli occhi stupiti e increduli di Maria, che non si capacitava di come qualcuno potesse spendere così tanto denaro per qualcosa che non fosse di primaria necessità. Infine, nel 1957, mentre passava di fronte alla vetrina dell’antiquario cittadino con un dipinto di fiori bianchi sottobraccio, venne fermato dal proprietario che seduta stante gli ha comprato la tela per 15.000 lire. Se le prime due vendite potevano essere un caso, la terza ha convinto Gastone che forse i suoi lavori potevano avere un seguito di pubblico e di collezionisti, anche se, ama orgogliosamente sottolineare: “Io non ho mai cercato niente, erano gli altri che volevano di farmi far qualcosa”.
Infatti nel 1959 ci avrebbe pensato il Comune di Vercelli a proporgli la sua prima personale al Palazzo dei Centori, dove sarebbero state ospitate anche le successive esposizioni del 1961 e del 1962. Alla sua prima mostra aveva esposto circa 80 opere, che avrebbero destato molto apprezzamento da parte del pubblico e degli studiosi. Quel giorno Gastone si prese un’altra piccola rivincita: “Tra il pubblico c’era anche il maestro Aquilini, che in quarta elementare mi aveva rimandato in disegno, che si complimentava con mia madre”.
La mostra ha incuriosito molti, tra gli altri anche il dirigente dell’Ente turismo del Lago Maggiore che lo ha poi contattato per la realizzazione dei manifesti pubblicitari, e il pittore, caricaturista e giornalista Francesco Leale, che avrebbe pubblicato sulla locale testata “Amico del popolo” un articolo che poneva in buona luce l’opera del giovane collega.
Da quel momento tra Leale e Cecconello inizia una reciproca frequentazione. Leale lo invita a frequentare le riunioni del Gruppo “Forme”, che si tenevano tutti i giovedì sera alla pasticceria Taverna Tarnuzzer, sotto i portici di piazza Cavour. Del gruppo facevano parte anche il Professor Carlo Bosio, Renzo Roncarolo e Francesco Donati. Tuttavia, pur continuando a frequentare gli esponenti del gruppo, la sua partecipazione ai dibattiti dura solo qualche settimana a Gastone discutere seduti attorno a un tavolo di un caffè pareva solo una perdita di tempo. Lui che aveva già poco tempo non poteva permettersi di sacrificare una sera la settimana a filosofeggiare. Ma l’influsso delle loro idee non sarà da sottovalutare.
Alcuni dipinti di quegli anni tradiscono una meditazione sull’opera di Guttuso e sull’informale, per esempio l’Autoritrattodel 1958 e La Battaglia di galli(1960).
Nel frattempo aveva cambiato lavoro prima per diventare l’aiutante di un idraulico locale e poi per fare l’agente di commercio, professione che eserciterà fino all’età della pensione.
Dal 1960 al 1962 è chiamato a prestare il servizio militare a Avellino, in provincia di Napoli, presso il centro di reclutamento e da dove, dopo vari test psicologici e attitudinali, veniva mandato al centro di addestramento carristi di Persano, un paese poco distante da Eboli. Dopo il corso da carrista, è trasferito a Legnano, nella divisione corazzata Alberto da Giussano. Anche in questo periodo non rinuncia all’arte: realizza ritratti ai compagni e dipinge tele ispirate all’opera di Klee, Kandijnsky e Picasso. Tra i lavori di questo periodo si ricorda un’intera cartella di acquarelli, ciascuno accompagnato da un breve pensiero su momenti della vita militare, e Pesci, eseguita su un telo di carro armato. Le letture di quei mesi erano varie: da Proust a Montale, da Garcia Lorca a Ungaretti.
Mentre prestava il suo servizio per l’esercito, Cecconello riceve l’incarico di realizzare un plastico del poligono militare della NATO di Decimo Mannu, un’area che si estendeva una ventina di chilometri nel sud della Sardegna, dalla spiaggia al monte Bracaxius. In dieci giorni Gastone, aiutato da alcuni commilitoni, porta a termine un plastico di 5×4 mt., che veniva esposto con tanto di cerimonia ufficiale al comando di Capo Teulada. Per questo incarico ha poi ricevuto un premio extra di 20.000 lire e una licenza di sei giorni, che avrebbe sfruttato insieme ai suoi compagni per visitare la Sardegna, una terra aspra e affascinante, della quale per molto tempo ha serbato il ricordo dei profumi e dei colori bruciati.
Una settimana prima della sua partenza per il militare, Cecconello aveva conosciuto la diciannovenne Maria Milan, una giovane di origini venete che viveva a Casalvolone, in provincia di Novara, e che avrebbe sposato una volta terminata la leva. La giovane coppia andò a vivere prima in un appartamento in affitto a Vercelli, in via Boccaccio e dopo successivamente a Olcenengo, dove nel 1969 nasceva il loro primogenito Manuele.
Nel frattempo la pittura di Cecconello desta l’interesse di alcuni galleristi vercellesi, che avrebbero organizzato due sue personali: nel 1962 alla Galleria d’Arte Viotti e nel 1966 alla Spa Commissionaria.
Dal 1964 Gastone comincia a prendere confidenza con una nuova tecnica artistica: la fotografia. Sarà una passione che coltiverà intensamente fino al 1969 e poi sempre più sporadicamente per qualche anno ancora.
Tra il 1970 e il 1982, perde entrambi i genitori. Il padre Pasquale veniva stroncato da un cancro inguaribile polmoni e alcuni anni più tardi la mamma Maria moriva per una bronchite contratta in ospedale, durante la degenza per la frattura di un femore.
Con gli anni settanta i cambiamenti nella vita di Gastone sarebbero stati innumerevoli: la vita matrimoniale, la nascita del primo figlio e le prime mostre fuori Vercelli, alla Galleria d’Arte Bonicelli di Milano e al Centro d’Arte Olmio di Torino; mentre, a Vercelli nei locali dello storico Studio Dieci.
Nel 1970, tramite l’amico Alfredo Raviglione, conosce il pittore argentino Franc Oldering, di 15 anni più di vecchio e con il quale sarebbe nata una bella amicizia durata almeno vent’anni, fino alla scomparsa di Oldering: “Ciò che più ammiravo era il bambino che era in lui”, ricorda Cecconello.
Nel 1972 conosce Adriano Parise, un tipografo di Colognola ai Colli, un paese poco distante da Verona, che si era recato in Piemonte a visitare la Mostra Nazionale di Pittura di Santhià per conoscere nuovi artisti. Il suo progetto era di pubblicare una lussuosa agenda nella quale ogni mese sarebbe stato scandito dalla riproduzione a colori di un dipinto di un giovane artista. A Santhià Parise incontra Mario Pistono, che lo indirizza a Gastone Cecconello, con cui in pochissimo tempo sarebbe nata una coesa amicizia e duratura collaborazione. Questa esperienza avrebbe dato inizio all’ingente collezione d’arte contemporanea di Adriano, nella quale sono presenti molte opere di Cecconello. Inoltre, nel giro di pochi anni, Adriano Parise, con entusiasmo e passione imprenditoriale rara, fonda la sua casa editrice, a cui Gastone si è sempre affidato per le proprie pubblicazioni.
Nel 1972 prende visione per la prima volta dell’opera di Lucio Fontana e in maniera al quanto bizzarra: “Mi trovavo a Laveno Mombello, sul Lago Maggiore, insieme ad alcuni amici per visitare lo studio dell’artista Albino Reggiori, quando fuori da un bar ci mettemmo a chiacchierare con un corniciaio; dopo uno veloce scambio di parole, l’uomo ci invitava nel suo laboratorio per prendere visione di alcune tele che un industriale di rubinetti, di cui aveva perso le tracce a seguito del fallimento, gli aveva lasciato da incorniciare. Si trattava di tre grandi tele con lacerazioni, tagli trasversali e pezzi di vetro colorato incollati con tanto di firma dell’autore sul retro. Il corniciaio, incurante di chi fosse l’autore, ci propose di acquistarle al solo prezzo delle cornici che aveva dovuto inutilmente realizzare, 90.000 lire, ma noi, un po’ perplessi e diffidenti, saremmo arrivati a malapena al raggiungimento di quel prezzo perciò non accettammo l’acquisto e ci mettemmo di nuovo alla guida per tornare a casa perdendo per sempre una grande occasione”.
Le opere di questi anni portano i segni di un ulteriore sviluppo della sua arte, che esprimeva un sempre maggior rifiuto nei confronti del nichilismo e del capitalismo imperante, espresso a partire dal 1973 dalla serie dei Businessmen, che realizzava sull’influenza stilistica di Francis Bacon. Il suo amore per la sperimentazione dei materiali, che lo aveva portato a confrontarsi con la fotografia, la terracotta, il legno e il ferro, sfocia nella sperimentazione dell’ytong, una sorta di amalgama a base di polvere di marmo, che gli era stato portato dalla Francia dal suo amico artista Adriano Nosengo. Con questo impasto cementizio più leggero e duttile del calcestruzzo, Cecconello realizzerà quasi tutte le sue sculture degli anni successivi e comincerà a mettere a frutto la sua nuova serie degli “incasellamenti”. Partendo dalle scatolette di legno che un tempo contenevano i formaggini philadelphia, Cecconello realizza una serie di piccole celle nelle quali distribuisce delle figure a mezzo busto modellate con l’ytong. La parodia dell’essere umano, ormai limitato della propria libertà e condannato ad essere identificato solo mediante asettiche serie numeriche (dalla partita iva al codice fiscale) è un disagio che sente quando, nel 1974, deve aprire la partita iva per lavorare part-time come agente di commercio per l’azienda di salumi Vismara. Il pensiero di essere importante più come numero che come uomo lo getta in un’angoscia crescente che lo porta a riflettere sul cambiamento della società e di come gli esseri umani non sono diventati altro che una sequenza di numeri e di lettere. È da lì che nascono gli “incasellamenti”della figura umana, dapprima chiusi come tabernacoli e poi aperti come le sezioni di un archivio. Finalmente, dopo essersi lasciato attrarre per anni dai grandi artisti e da varie correnti espressive, tra il 1976 e il 1977, con questi busti umani giunge alla cifra distintiva del suo lavoro. Lascia da parte paesaggi e ritratti, ovvero la pittura che aveva praticato fino a quel momento, per dedicarsi anima e corpo a questo nuovo filone creativo. L’unica eccezione fu il ritratto di Indira Gandhi, che il Primo Ministro indiano avrebbe collocato nella Sala dei Congressi di Nuova Delhi. L’importante commissione proveniva dall’amico Lino Cremon (il fotografo ufficiale della famiglia Gandhi), che aveva lo studio a Biella e al quale ogni tanto Gastone si rivolgeva per le riproduzioni fotografiche dei suoi dipinti. Gastone aveva un conto aperto e un debito ormai consistente con Cremon, che gli aveva proposto di saldarlo accettando di realizzare il ritratto del premier indiano. Gastone in un primo momento aveva rifiutato, perché ormai era nel mezzo di tutt’altro genere di sperimentazioni, ma il debito era troppo consistente e così aveva accettato l’incarico. Nel 1980, partendo da una foto di Cremon, realizza un grande ritratto (50 x 70 cm) della Gandhi, che proprio il 14 gennaio di quell’anno aveva cominciato il suo secondo mandato alla guida dell’India.
Nel 1974, tiene un corso di aggiornamento a una trentina di artisti di Santhià e in questo stesso anno nasce Elena, la sua secondogenita.
Nel 1977 insieme ad alcuni amici fonda “L’Aquilonaria”, un’associazione che costruiva grandi aquiloni artistici e il cui motto era “Sempre più in alto”.
L’anno successivo, con la mostra di Biella alla galleria “L’uomo e l’Arte” otteneva finalmente la svolta meritata. Vi aveva esposto circa 60 opere, tutte di ultima generazione e finalmente aveva riscontrato un progressivo interesse da parte del pubblico e dei collezionisti che gli avevano acquistato diverse opere, mentre importanti critici e galleristi avrebbero poi fatto visita al suo studio. Uno di questi fu Omar Aprile Ronda fondatore del club degli incisoli (Dialoghi Club), che nel 1982 gli proponeva di incidere ad acquaforte dieci grandi lastre da mettere nel suo club. Fu l’inizio del suo riconoscimento anche all’estero: nell’ottobre del 1985 espone all’Università Statale di Amburgo, l’anno successivo a Rotterdam (prima all’Università, poi alla Galleria Trefcentrum), nel 1987 all’Istituto di Cultura Italiana di Vienna e nel 1988 alla Columbia University di New York. In Italia, invece, partecipava spesso ai concorsi di pittura a livello nazionale e internazionale, vincendo varie volte il primo premio, come nel caso del 6° Concorso di Pittura Contemporanea a Trivero (nel 1986) e della 20° e 26° edizione della Mostra di Pittura Contemporanea di Santhià, rispettivamente del 1983 e del 1989.
Nel frattempo si dedica anche alla realizzazione di opere pubbliche, che nel 1979 lo vedono impegnato al Monumento ai Caduti della Resistenza per il 35° anniversario dell’Eccidio di Santhià, commissionatogli dalla sezione santhiatese dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (inaugurato il 4 maggio 1980), mentre nel 1984 realizza la sua più grande opera per dimensioni, 5 x 2,5 m, che veniva esposta nella sala consigliare del comune Gaglianico, comune in cui risiede dal 1972 al 1992. L’opera rappresenta gli amministratori della comunità e veniva inaugurata dall’allora primo ministro Oscar Luigi Scalfaro. Nel 1986 il Club subacqueo di Santhià gli commissiona la realizzazione di un’opera per la commemorazione del popolo Walser: una croce bronzea realizzata da Gastone veniva inaugurata il 12 ottobre e collocata nell’alveo delle sorgenti del fiume Sesia ad Alagna.
Nel 1988, insieme ad altri 10 artisti (tra cui Staccioli, Di Cocco e Urano Palma), il critico Pierre Restany e il fotografo Fabrizio Garghetti partecipa al progetto, finanziato in parte dalla Comunità europea e in parte dalla regione Piemonte, per la realizzazione di dieci grandi opere da collocare nel Parco Nazionale delle Lame del Sesia. I bozzetti sono stati esposti nella sede del Parco ad Albano. Gastone aveva pensato di fare un intervento che si sposasse con gli alberi e i sassi del parco. Una struttura di tre alberi fusi in bronzo alta 10 metri, legati in alto come un tepee e una serie di sassi di grandezza digradante che ne riempivano lo spazio interno. A oggi questo ambizioso progetto attende ancora di vedere la luce.
Negli anni ottanta si avvicinava all’affresco. La prima volta in cui si cimenta con questa nuova tecnica è nel 1982, a San Paolo Cervo, vicino Biella, dove a uno scalpellino che stava sistemando la propria baita, Gastone si offre di realizzare un affresco sulla facciata. L’affresco di 60 x 80 cm rappresenta degli spaccapietre intenti al lavoro: “Questo fu il mio primo affresco, non avrei mai immaginato quello che sarebbe successo in seguito”.
Questa esperienza avrebbe costituito l’incipit dell’attività della “Consorteria dei Figuranti”, conosciuta come i “Tectores Errantes”, formalizzata dal Manifesto scritto da Mario Pistono e firmato l’8 settembre del 1984 da Gastone (che era anche il coordinatore del gruppo), Sergio Alice, Enzo Bellini, Alberto Cropelli, Annibale Follini, Giulio Picelli, Mariano Pieroni, Epifanio Pozzato, Vanni Saltarelli. L’ambizioso progetto nasceva di fatto l’anno precedente quando trasferendosi a vivere a Gaglianico, un paesino in provincia di Biella, Gastone aveva preso contatti con Maurizio Corgnati, che viveva a Maglione. Tra l’artista e il regista comincia una lunga frequentazione e un proficuo confronto intellettuale. Entrambi si erano coesi nel desiderio di cambiare il volto a Maglione, convincendo alcuni artisti ad affrescare sulle facciate delle case una loro opera, un po’ come era avvenuto ad Arcumeggia tra il 1956 e il 1970, dove lungo le stradine del piccolo villaggio si ammirano affreschi di Achille Funi, Aldo Carpi, Gianfilippo Usellini, Giuseppe Migneco, Ferruccio Ferrazzi, Giuseppe Monanari, Aligi Sassu, Gianni Dova e molti altri. In poco tempo, questo progetto diventa una realtà. Il 20 settembre 1983, giorno della festa patronale di San Maurizio, Reggiori, Trolese, Follini, Cropelli, Alice, Saltarelli, Pieroni, Picelli, Bellini e Carena, con Cecconello in testa, si mettono all’opera per dar vita al MACAM, Museo di Arte Contemporanea all’Aperto di Maglione. Il successo sarebbe stato tale che per molti anni ancora moltissimi altri artisti avrebbero prestato il loro talento per lasciare a Maglione una traccia del loro passaggio. Da questo progetto ne sarebbe nato un altro: la realizzazione di un monumento al contadino per onorare la tradizione agricola di Maglione. Quello che Cecconello aveva in mente era una stele alta una decina di metri e assemblata con pezzi di macchinari agricoli portati dagli stessi contadini. La sua idea giunse alle orecchie di Silvano Gilardi, che gli avrebbe proposto una sua collaborazione, che Gastone però rifiutò. Tuttavia, una decina di giorni dopo, recandosi a Maglione per lavoro Cecconello trova già eretta nella piazza un’accozzaglia di carabattole, che nemmeno pallidamente rifletteva l’idea originaria. Da quel momento Cecconello non si sarebbe più recato a Maglione: “Fu l’ultima volta che mi recai a Maglione. Maurizio venne a casa mia e fece di tutto per portarmi sulla retta via, ma fu inutile. Maglione per me è stata un’avventura bellissima finita tristemente”.
I suoi interventi ad affresco non si sarebbero arrestati perché insieme alla Consorteria dei Figuranti avrebbe continuato a realizzare affreschi in tutto il Piemonte: nel 1983 per il comune di Piane Sesia e a Villa del Bosco; l’anno successivo a Pratrivero e in frazione Mazzucco a Trivero; a Santhià nella Piazza del Comune nel 1989, nella Piazza dei Pittori nel 1997, presso il Mobilificio Bono 2006 e per la Chiesa di S. Agata nel 2002; a Chiaverano nel 1989; ad Acqui Terme nel 1990; a Boccioleto nel 1994; a Crescentino nel 1989 a Caresanablot per la Cappella Martinotti nel 1986; a Prarolo per la tenuta Trebbie nel 1990; a Vigliano per lo stabilimento Gardiman prima nel 1989 e poi nel 2002; a Colognola ai Colli in casa Parise nel 1982; a Salussola sulla porta urbica e sul Museo dell’Oro e della Pietra nel 2005, a casa Tura nel 2008, all’Asilo nel 2008, per lo stendardo della Pro Loco nel 2006, per la risistemazione del fontanin nel 2004; a Bioglio nel 1997 e nel 2000 (dove coordina l’iniziativa e lui stesso raffigura l’incontro di Gesù con la madre); a Romano di Lombardia nel 1997; a Muzzano presso i salesiani nel 2000; a Biella in via Don Minzoni sulla facciata della Casa della Carità nel 2003; a Vergnasco per la scuola materna nel 2005, a Sandigliano per la casa parrocchiale nel 2005; a Cerrione per la chiesa di Magnonevolo nel 2007; a Salasco per il ristorante L’Armistizio nel 2006; a Masserano per la casa Ria; a Cavaglià nel 2008; a Casale Monferrato per la Casa Famiglia nel 2010.
Nel 1983 vince il primo premio “Gaudenzio Ferrari” al XX Concorso Internazionale d’Arte Contemporanea di Santhià con un dipinto intitolato “Isola”. L’evento ha molta risonanza sulla stampa locale e nazionale, che si prodiga nel raccontare l’opera e la pittura di Cecconello.
Nel 1984, per i tipi Adriano Parise (di Colognola ai Colli presso Verona), esce la prima monografia sull’artista. La presentazione è affidata a Mario Pistono, Maurizio Corgnati e Mariano Pieroni.
Dal 1985, dopo aver vinto la medaglia d’argento del Pontefice Giovanni Paolo II all’8° Concorso Nazionale di Pittura e Grafica, organizzato a Bussolengo (Vr) sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica. Durante i diversi weekend trascorsi dall’amico e editore Adriano Parise, conosce Daniel Spoerri, Hermann Nisch, Mondino, Sarenco, Miccini, Hadorf, Günter, Costa, Margonari, Nagel.
Sempre nel 1985, al 5° Concorso di Pittura Contemporanea del Comune di Trivero, vince il 3° premio con l’opera Composizione. Della giuria fanno parte Maurizio Corgnati, Omar Aprile Ronda, Mario Pistono e Ido Novello.
Nel 1986, sulla scia dell’esperienza di Maglione, ha l’ennesima intuizione e fonda Bond’Arte. Celso trascorreva le sue estati a Bonda, una frazione di Mezzana Mortigliengo, in provincia di Biella, dove Gastone aveva comprato una casetta. Il paesino era pressoché disabitato e infestato dalle ortiche, ma ben presto, sulla scia dell’entusiasmo di Cecconello e dell’amico, anche gli altri proprietari avrebbero cominciato a dimostrare interesse all’idea. Nel giro di poco tempo, Cecconello chiama a Bonda una schiera di amici pittori (tra i quali si ricordano Luciano Pivotto, Giancarlo Cazzaniga, Antonio Carena, Simon Benetton, Carla Crosio, Albino Reggiori e tanti altri), che per la seconda volta danno vita a un vero e proprio Museo d’Arte all’aperto, con più di 150 affreschi, ma anche a un centro di fermento culturale animato da poeti, musicisti e letterati. Nell’estate del 1989, ad esempio, tra quelle mura ha suonato Anna Loro, prima arpa dell’Arena di Verona, seguita l’anno successivo dal trio Albatros e dall’organista Arturo Sacchetti.
Il 5 ottobre del 1987 gli viene conferito il premio “Città di Todi” da parte del cittadino Centro Artistico di attività culturale “Nuova Era”. Cecconello era stato segnalato da Mario Pistono.
Nell’ottobre del 1988 esce, sempre con le edizioni Parise, la seconda monografia, che non ha nessun testo critico, ma solo la rassegna di un centinaio di opere dell’artista, prodotte negli ultimi dodici anni. Il volume verrà ufficialmente presentato il 21 ottobre nella sala consigliare di Gaglianico in occasione dei festeggiamenti del primo millennio della città.
Nel 1989, dopo dieci anni dalla prima mostra, Cecconello ritorna a esporre all’Auditorium di Santa Chiara a Vercelli, con una rassegna antologica che intende ripercorrere tutto l’itinerario della sua produzione.
Nel 1991 compera a Salussola un terreno di 3000 metri mq su cui avrebbe fatto costruire una nuova casa con annesso uno studio e un grande magazzino per le opere: “Pensavo che questo studio mi sarebbe bastato fino alla fine della mia vita, ma oggi dopo vent’anni è quasi inagibile”. E’ un momento importante, tanto che gli dedica perfino la mostra “Trasloco”, alla galleria Il Quadro di Biella (22 novembre – 31 dicembre 1991): “L’ordine asettico – scrive Gilardino – che abitualmente regna nello studio di Gastone Cecconello è stato sconvolto, in queste settimane, dai preparativi dell’imminente trasloco, da Gaglianico a Salussola. Tele e polimaterici, usciti dalla custodia che rigorosamente li stiva e li protegge, sembrano in stato di guerra. È così che li ha colti un gallerista biellese, che da tanto tempo progettava una personale dell’artista”, ricorda Gilardino sulla brochure d’invito. La mostra aveva al centro dello spazio espositivo un accumulo di tele impacchettate, carte imballate e rotoli pronto per essere caricato, mentre alle pareti tele grondanti di materia e di colore”.
Nel 1992 riceve la richiesta di un incontro con Salamon, un manager americano a capo di un’organizzazione che si faceva promotrice di artisti a tutti i livelli promuovendone mostre in Italia e all’estero, che, dopo aver visto il MACAM, propose a Cecconello un contratto di collaborazione, ma tutti quei fogli pieni di clausole e penali fecero temere a Gastone di perdere la propria libertà e vi rinunciò: “Per me la pittura è l’unico momento di libertà assoluta”. Non si è mai pentito di quella scelta.
Degli anni novanta è anche una sua personale al Palazzo della Regione di Torino. In quell’occasione fa la conoscenza del filosofo e poeta Guido Ceronetti, che si complimenta per la gestualità e la generosità della sua pittura. Due anni dopo Cecconello è chiamato a far parte della giuria della Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea di Trivero, dove dalla 12° edizione in poi è sempre stato presente.
Da segnalare nel novembre del 1999 la personale alla Galleria Effe due di Bergamo, di Alberto Fumagalli, dove espone Omaggio a Piero della Francescae Nero di Praga, una serie che aveva preparato per una mostra nella capitale ceca, curata da Enrico Mascelloni, e che si sarebbe dovuta tenere nel gennaio successivo, ma che in realtà non ha mai avuto luogo.
Il suo talento artistico continuava ad attrarre nel suo studio artisti, in particolare è intenso il rapporto con il pittore istriano Romano Conversano (1920-2010), a cui Manuele Cecconello dedicherà un documentario, e il pittore biellese Guido Mosca (1913-1983), autore del grande affresco dell’altare maggiore della nuova chiesa dell’Ospedale di Biella. Nel 2001 riceve il premio alla memoria di Renzo Roncarlo, organizzato dal comune di Olcenengo.
Non perde di vista nemmeno le opere pubbliche, su cui torna a cimentarsi nel 2004, realizzando una scultura polimaterica per l’Ecomuseo del Cossatese e delle Baragge di Castellengo e tre anni dopo prenderà l’impegno con il sindaco di Cavaglià per dipingere un ciclo di affreschi sull’esempio di Maglione e Bond’Arte. Con altri cinque artisti, tra i quali Gianni Bolis, Annibale Follini, Picelli, Nosengo e Sergio Albano, Cecconello dipinge uno dei sei affreschi che oggi decorano la facciata delle case.
Nel 2000 espone alla Galleria Man Arte di Parigi dove presenta le sue Storielle senza titolo: un ciclo di opere con figure in rilievo realizzate con impasti di sabbia, colla e polveri e fondi piatti.
Nel 2002, alla 39° edizione del Premio Santhià, con la Storia infinita, vince il Premio Nazionale Giangiacomo Spadari istituito dalla Grafica Santhiatese Editrice. La giuria composta da cinque critici (Mezzacapo, Mistrangelo, Pasquali, Pistono e Seveso) ha valutato l’opera che rispondeva meglio al tema: “Teatro – cinema… muse suadenti per la pittura, arte sorella”.
Quattro anni dopo esponeva alla Maison de la Mer, nella località francese di Cavalaire sur Mer, in Costa Azzurra, una selezione dei suoi cicli più importanti.
Di un anno dopo è un’altra sua importante mostra personale a Gazoldo degli Ippoliti con opere polimateriche realizzate tra il 1995 e il 1997 e curata dall’amico Angelo Gilardino che scrive: “nel rigore della sua rappresentazione, Cecconello moltiplica il potere della sfinge insinuandone la presenza in ogni oggetto, anche il più banale e innocuo, che a volte trova un’anima in un (prima insospettabile) «in sé», a volte l’acquista nelle relazioni che si stabiliscono con altri oggetti, ugualmente (prima) insignificanti”[4].
Negli ultimi anni tutto il suo lavoro è concentrato sull’incasellamento di oggetti che ruba alla realtà per chiuderli in scatole dal forte sapore metafisico. Ma, non dimentica la pittura, che ora predilige ampie distese di colore luminoso, abitato da quelle figure stilizzate, che lui stesso ha sempre definito come la parodia dell’uomo, ma ormai ridotto a puro contorno.
Il 2 marzo 2012 Cecconello scrive nel diario: “Manuele mi annuncia che per quest’anno a dicembre ci saranno due grandi mostre al museo di Biella e all’Arca di Vercelli lavoro, quello per realizzare questi due eventi, che ci impegneranno per molto tempo: non dipingo più, mi sento vuoto, non ho più stimoli né di disegnare né di fare altro, per ingannare il tempo mi dedico al giardino, alla recinzione, agli uccelli, vorrei che fosse già dicembre, questa attesa è devastan
[1]Tutte le citazioni che seguono sono state tratte da un diario manoscritto conservato nell’archivio dell’artista.
[2]A. Gilardino, Piccolo ritratto d’artista, catalogo mostra Auditorium Santa Chiara, Vercelli, 18 febbraio – 12 marzo 1989, p.s.n.
[3]M. Corgnati, in Gastone Cecconello mostra antologica 1953-1990, Catalogo della Mostra, Civica Galleria d’Arte Moderna, 17 novembre-14 dicembre, Gallarate, Adriano Parise Editore, Colognola ai Colli (Vr), p.s.n.
[4]A. Gilardino, L’occhio, la mente, il mondo, Catalogo mostra, Museo d’Arte Moderna, Gazoldo degli Ippoliti (Mantova), 9 – 30 novembre, Adriano Parise, Colognola ai Colli (Vr), p. s. n.